Selected Writings
Arte(Dissipazione)
(da Enrico Pedrini, Arte(Dissipazione), Studio Oggetto, Milano, 1989)
Nella storia dell’evoluzione, come nella storia della conoscenza non sono mai gli organismi da una parte, e le idee dall’altra ad adattarsi alla realtà: è invece la realtà per limitatezza del possibile che elimina ciò che non è vitale, ciò che non risponde alla costituzione del reale. La ‘selezione naturale’ nella filogenesi (come nella storia della conoscenza) non seleziona positivamente gli elementi più resistenti, ma funziona lasciando semplicemente perire tutto ciò che non resiste. La storia esiste in quanto agisce una diluizione degli eventi, diluizione temporale che garantisce una lettura continuamente altra di ciò che si credeva vero, unico.
La teoria dell’evoluzione può suggerire un’analogia preziosa: il rapporto tra strutture organiche e l’ambiente trova una precisa corrispondenza nel rapporto tra strutture cognitive utilizzabili in un dato momento ed il mondo dell’esperienza:in entrambi i casi si riscontrano forme adeguate. Le prime, perché il caso naturale delle mutazioni ha conferito loro le forme che attualmente hanno, le altre perchè l’intenzione umana le ha formate in vista di quegli scopi che effettivamente raggiungono. Questi scopi sono: spiegazioni, predizioni, oppure controllo di determinate esperienze.
L’arte, che è un ambito soggetto ad altrettanta sistematizzazione, dopo aver abbandonato gli schemi ideologici della Seconda Avanguardia, o ‘Avanguardia della Quantità’, propria degli anni ’60/ /70, spalanca ora lo spazio della non-identità e della differenza.
Un esempio calzante l’abbiamo nell’Arte Inespressionista dove è depositata la coscienza che ciò che forma l’identità di opera non è la volitività poetica dell’artista, ma la capacità dell’operatore di afferrare ciò che radicalmente struttura e conformatale opera.
L’artista gioca l’accettazione interna del sistema consapevole che in cambio avrà la possibilità di attribuire allo stesso lo statuto d’opera. Egli si appropria del sistema elevandolo allo statuto di prodotto cercando un’altra strada per arrivare ad una determinazione lineare del significato. Si tratta di un ready-made di secondo grado: il ready-made non è più fatto sull’oggetto (Duchamp), ma sul sistema nei confronti del quale l’artista deve porre, al giusto momento, il proprio assenso per afferrare ciò che viene standardizzato come opera: la delegazione d’opera fornita dal sistema. La situazione francese neo-concettuale, rivela la comprensione che il sistema ha recentemente adottato l’arte in quanto fatto linguistico, pubblicitariamente, alla condizione che ogni atto di linguaggio si riveli immediatamentein atto di comunicazione (l’utilizzazione del linguaggio tipica dei media pubblicitari).
L’operazione sul linguaggio fornisce prodotto artistico proporzionalmente al suo farsi media comunicativo. Il farsi opera attraverso il suo farsi atto comunicativo rimane ugualmente sotteso alle decisioni strutturanti del sistema: i Neoconcettuali Francesi lavorano a favore dell’opera nel suo essere significato, nel modo in cui questo significato diviene comunicato in ottemperanza ai dettami del sistema, dove la galleria diviene agenzia tutelante il sistema stesso. Non a caso gran parte del lavoro francese porta all’assunzione artistica le icone ed i logotipi delle multinazionali: l’opera d’arte è la sua sponsorizzazione.
In Italia, parallelamente dal 1984/85, alcuni artisti toscani e liguri, vicini all’opera di Giuseppe Chiari e in considerazione delle esperienze artistiche maturate dopo la mostra ‘Inespressionismo’ a cura di G. Celant, nel 1981, portano avanti, in modo del tutto autonomo, una nuova problematica conoscitiva basata non tanto astrattamente sui problemi del linguaggio, quanto piuttosto come conoscenza cognitiva del reale che ci arriva come entità linguistica: una nuova conoscenza non tanto legata alla formulazione dell’immagine dei media, quanto piuttosto come interrogazione operativa della realtà, del mondo. Conoscenza che vuole andare al di là del simulacro, all’operazione che derealizza qualsiasi dato e che quindi produce conoscenza indifferente ai singoli contenuti concreti.
Questi artisti non si soffermano alla resa tridimensionale dell’immagine di un oggetto, alla olografia sociale della società dello spettacolo, essi piuttosto vogliono porre nuove problematiche e nuovi compiti. La loro operazione si volge quindi all’interrogazione di ciò che è reale, ciò che è realizzazione, ciò che legalmente viene determinatocome reale. La loro proposta operativa, non veicola dunque un messaggio, ma affronta la struttura del dato informativo su ciò che regola e determina ogni atto significativo e ciò che sostanzialmente impone la realtà di un fatto. Essi non operano un processo di evasione e liberazione da una definizione della realtà legata ad un circuito costrittivo e definitivo, quanto piuttosto affermano l’appropriazione, l’agibilità dello stesso processo che tende costantemente all’omologazione, all’uniformizzazione del reale stesso.
Muovere, presentare un fatto è inteso da questi artisti in termini di operatività del fatto stesso; possibilità che restituisce una verità teorica che li distanzia e li diversifica l’uno dall’altro. I loro lavori come macchine linguistiche attraversano la categoria della dissipazione.
L’opera d’arte ha sempre costituito la propria finalità nella realizzazione di un prodotto: la linea di analiticità che attraversò gli anni ’60/’70 destituiva il farsi prodotto finalizzandolo unicamente al suo percorso di realizzazione (fuori-quadro).
L’opera diventava il suo percorso concettuale (Happening, Events, Tautologia, Monosemia, Metalinguaggio, etc). La pretesa che rendeva vera questa operazione si incentrava sul fatto che l’oggetto, il prodotto, veniva dissolto a favore del recupero fruitivo della sua espressione teorico-concettuale. Quello che si era perso di vista (e che ancora oggi viene reciclato dal neoconcettuale), è il fatto che l’oggettualità è nuovamente incarnata nel concetto: sostanzialmente si finisce con il fare l’apologia alle intenzioni. Questa lettura deviata di quel grande periodo storico-evolutivo del Concettuale Freddo è ciò che muove il cinismo manageriale del cosiddetto neoconcettuale.
Diversamente, gli artisti che attraversano la categoria della dissipazione considerano in qualche modo il lavoro che in altre discipline è stato svolto nei primi anni ottanta, e che ora si configura nel suo svolgimento come una vera e propria rivoluzione paradigmatica nella creazione, nella conservazione e nella circolazione della conoscenza. In quegli anni (e quindi poi in questi), si elabora una rete di idee radicalmete nuova sulla costruzione dei rapporti che l’uomo intesse con le sue strutture di invenzione del reale; ciò è passato proprio attraverso la riformulazione dell’idea di entropia, che la prima cibernetica considerava solo nei termini di rumore, distruzione, di morte termica. La termodinamica dei sistemi in stato di non equilibrio ha sostenuto invece che la cosiddetta morte termica è avvenuta all’inizio dell’universo in seguito al ‘big bang’ e che a quell’epoca, nell’universo, non vi era energia.
Questa rivoluzionaria intuizione crea un debito alle nascenti scienze della complessità, ed affranca una inedita possibilità di pensiero: il rumore interno ad un sistema diviene infatti perturbativo e non quindi unicamente distruttivo, ma annichilente e innovativo: la chiusura di un mondo, parafrasando uno dei più grandi pensatori della complessità, diviene sostanzialmente apertura ad infiniti altri mondi. Proprio la formulazione di questa teoria agli inizi di questo decennio, che dà ora i suoi frutti più maturi, aggiunge valore storico al lavoro di questi artisti che affrontano in modo differente la lettura della analiticità di quelle problematiche e ne recuperano, attraverso il loro nuovo percorso teorico operativo, la più ampia apertura di pensiero. Il farsi opera diviene pretesto per discutere, agire, dissipare il costituirsi stesso dell’opera.
La categoria di macchine linguistiche avvia la possibilità di recuperare l’atto intelligente, l’atto di pensiero, dove la stessa intenzionalità operativa diviene modello di discussione del generare l’opera. Alla lettura deviata del neoconcettuale che fa convergere la pluralità della realtà in una sola, quella artistica , rielaborando il delirio prometeico dell’estetica ,questi artisti controbattono: ‘a dissipazione risponde interattività’.
Interattività come coscienza che un processo vive dei propri limiti referenziali, ovvero delle attività reciproche tra i vari elementi che promuovono la realizzazione dell’opera. L’interattività nell’elaborazione di un’opera produce l’effetto dissipatorio proprio all’interno del processo che ne vorrebbe garantire la realtà d’opera.
Se il valore di un’innovazione consiste anche nel generare nuovi percorsi di lettura del passato, il lavoro di questi artisti italiani è soprattutto quello di dipanare l’ottundimento (ovvero il tontismo di questi anni, mirante ad eliminare tutto ciò che non si fa complice degli odierni tentativi di blocco culturale) e la faciloneria con la quale il postmodernismo ha tentato di contrastare ed annullare il portato culturale della Seconda Avanguardia.
Ritornando alla
Dissipazione, tale categoria deve essere considerata come teoria per
approssimazione, in quanto radicalmente distante dalla rettilineità del
pensiero occidentale: è proprio ciò che da la possibilità di ridiscutere lo
statuto dell’opera. Dissipazione è paradossalmente concentrazione del fare in
ottemperanza al dissiparsi della sua presentazione:
Dissipazione del farsi significato-prodotto (Ivano Sossella);
Dissipazione del sistema di funzionamento (Marco Formento);
Dissipazione dell’identità di testo (Cesare Viel);
Dissipazione dell’identità di luogo (Luca Vitone);
Dissipazione dello statuto d’artista (Tommaso Tozzi).
Lo statuto d’opera sottrae e dissipa il momento d’opera e l’opera risulta aperta sempre più alle interazioni (al reale). Non è tanto la vita che entra e collassa nell’arte, come negli anni 60, ma piuttosto entrambe, arte e vita che interagiscono indifferentemente.
Ora, mentre ci lasciamo alle spalle l’estetica della rappresentazione, l’effetto derealizzante, il dissolvi-mento della realtà, la concezione del presente come istante che subito si dissolve, un nuovo momento operativo si fa avanti in cui il sapere, la sua conservazione e la sua trasmissione, sono strettamente congiunti.
Nasce l’esigenza di individuare ed indagare teoricamente nuovi campi semantico-concettuali secondo le linee che superano le singole articolazioni disciplinari (interdisciplinarietà), ma anche le separazioni tra ricerca ed informazione, tra pensiero e corpo sociale.