La grande esposizione: Intra-muros a Nice
di Enrico Pedrini
La grande mostra al Mamac di Nizza e per estensione nella città, vuole appunto affermare come l’importanza dei “muri” abbia segnato la storia dagli anni 1989 ad oggi. La geopolitica di questi decenni è infatti legata sia alla distruzione del Muro di Berlino (1989) che alla costruzione di un nuovo muro in Israle. Lo stesso 11 Settembre del 2001 è stato segnato da un avvenimento drammatico rappresentato dalla caduta di un’altra barriera della skyline newyorkese: le Twin Towers. La mostra cerca quindi di affermare alcune tematiche quali la caducità delle opere che vengono costruite dagli artisti per la sola durata dell’esposizione e che devono privilegiare non la tridimensionalità dello spazio ma piuttosto la dimensionalità dei grandi muri del museo. Attraverso la tematica del muro l’esposizione valorizza la possibilità di ricreare una sorta di “nuovi affreschi”, come interventi che aprono a inediti interrogativi per l’arte. Si pone pertanto la questione di indagare i limiti del campo pittorico, di esplorare le nuove possibilità della luce stessa e al contempo, usando nuovi segni e lingaggi, di affrontare le più recenti conoscenze filosofiche e scientifiche che privilegiano una visione innovativa e radicale dell’arte. Attraverso queste grandi superfici gli artisti possono quindi esprimere con grande energia la propria attitudine creativa e coinvolgere emozionalmente gli spettatori. La presenza del muro diviene un vero e proprio “oggetto di creazione” dove, nella vastità dello spazio, il vuoto diventa esso stesso elemento costitutivo ed essenziale dell’opera stessa.
La mostra Intra-muros vuole appunto affermare l’esplorazione delle ricerche formali degli anni sessanta e settanta, in special modo quelle che si riferiscono all’Arte Minimal, all’Arte Concettuale e all’Arte Povera e al Postconcettuale. Manca però nella mostra la presenza di almeno alcuni artisti dell’Happening& Fluxus che hanno anticipato già alla fine degli anni ’50 le istanze dell’arte che possiamo definire del “Fuori Quadro” e vi è la totale assenza di alcuni artisti della Graffiti Art. La presenza di Ben Vautier all’ospedale Archet non è sufficiente a compensare l’assenza di Fluxus nella mostra. Speriamo che questa nota non risulti sgradevole a chi ha organizzato l’esposizione ma diventi un elemento di riflessione e di stimolo a ripetere questa splendida mostra l’anno prossimo.
La presenza di soli 21 muri all’interno del museo limita lo spazio e di conseguenza gli inviti per altri artisti, ma la necessità propria ad alcuni artisti di un sistema etico, ci induce a non dimenticare la storia e la cronologia dei linguaggi che la generano e la alimentano. Tuttavia l’esposizione nel suo insieme mette in scena un grande impegno professionale da parte degli autori invitati, i quali hanno così ben assolto il compito loro assegnato, che è stato quello di realizzare in situ dei lavori adeguandoli al luogo “come condizione necessaria dell’atto creativo”. Risultato di questa coerenza è stato quello di aver creato opere altamente significative che la vastità dello spazio loro assegnato ha dilatato e reso monumentali. Certamente i linguaggi concettuali, minimali e poveristi che trovano nella riduzione della materia e dell’energia l’espressione più vicina al sapere della Fisica Quantistica, una volta che si offre loro la possibilità di occupare una ampia pagina da riempire, dilatano la dimensione dei loro progetti in scale prospettiche imponenti. Tali strutture sono in grado di avvolgere lo spettatore ed operare un completo coinvolgimento emotivo e psicologicamente appagante proprio in chi l’osserva.
La mostra Intra-muros inizia con l’opera di David Tremlet che si presenta come una grande tavolozza in cui le tinte piatte di colore si integrano fra loro, secondo un predeterminato disegno geometrico. Segue l’opera di Sol LeWitt che visualizza dei campi di colore che ricordano l’arte degli indiani americani e si snodano in un ampio movimento ondulatorio. L’opera diviene parte integrante del volume architettonico assegnatole e può essere successivamente modificata quando la si vuole ricreare altrove. Accanto Robert Barry, artista concettuale storico, utilizza delle parole disposte come delle arborescenze secondo lo stretto principio della simmetria. Mel Bochner presenta invece una sola tela colorata al centro della superficie del muro e rileva con un nastro nero le distanze precise che esistono fra i bordi della tela e i limiti del muro. Il muro quindi non è più un semplice supporto sul quale appoggiare degli oggetti, ma una superficie utile da osservare. Daniel Buren incolla al muro un ampio foglio di carta che porta ai lati le famose striscie di 8,7 cm di larghezza. Nella parte centrale dell’installazione, il muro è messo a nudo in un ampio triangolo disegnato. Tony Cragg espone poi una sequenza di frammenti di plastica di oggetti di uso comune che sono disponibili per l’uomo in qualsiasi momento della giornata. Jannis Kounellis appoggia al muro 45 mensole che sostengono dei pacchetti di sigarette ed un supporto sul quale sono appoggiati 56 soldatini di piombo posti su una camicia militare. Joseph Kosuth presenta invece tre blow up contenenti delle proposizioni testuali, come delle definizioni della parola”muro” e ad una certa distanza un ingrandimento fotografico che visualizza il muro stesso: una riflessione sulla natura stessa della parete in questione. Robert Morris disegna sul muro con gli occhi chiusi una frase che fa ripetere successivamente a della persone anonime, non artisti, ai quali sono stati bendati gli occhi. Haim Steinbach trasferisce in forma geometrica la parola “YO”(Ouais) in quanto tale “onomatopatia familiare” esiste per se stessa al di fuori del senso che la afferma. Bernar Venet espone un arco in acciaio di cinque metri appeso ad una corda, che l’artista prende con due mani e strofina sul muro in modo che diventi una memoria tangibile di un gesto artistico. Lawrence Weiner scrive in grandi dimensioni sul muro una frase che l’artista usa frequentemente in francese e in inglese, quasi un segnale destinato ad essere riconosciuto dal lettore al posto di un dipinto. Giovanni Anselmo appende 32 blocchi di pietra lavica, sospesi in coppie di due elementi ad evocare la nozione di pesantezza, ma l’artista, sospendendoli in alto, dona loro la sensazione di essere corpi leggeri.
Gli altri artisti che condividono gli ampi spazi del MAMAC, che purtroppo ci spiace non poter descrivere, sono François Morellet, Giulio Paolini, John Armleder, Damien Hirst, Richard Long, Niele Toroni, Jean-Charles Blais e Ange Leccia. I due ultimi artisti risolvono la parete loro assegnata mediante proiezioni video che suscitano grande interesse nell’immaginario dello spettatore. In margine all’esposizione del Mamac, disseminate nella città, si possono visitare poi: un grande intervento di Albert Chubac sui muri esterni del teatro Lino Ventura al quartiere Ariane, degli interventi nella città di Ernest Pignon-Ernest e un grande muro coperto di scritte di Ben Vautier all’Ospedale L’Archet. L’affaccio su una grande parete del lavoro di Frédérique Nalbandian posto sulla via urbana a livello di Cimiez completa questa grande manifestazione.