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Selected Writings

L’indeterminazione e la flessibilità di Giuseppe Chiari

(da Enrico Pedrini, L’indeterminazione e la flessibilità di Giuseppe Chiari, in Conceptual Music, Chiavari, 1996)

L’opera di Giuseppe Chiari e del movimento artistico e culturale denominato Fluxus sta diventando centrale ed estremamente significativa all’interno del sistema dell’arte. Infatti il lavoro di questo artista fiorentino deve oggi essere considerato come uno dei primi tentativi di immettere flessibilità nell’ambito della cultura italiana che ancora oggi trattiene nel proprio contesto segni marcati di determinismo causa/effetto ed irremovibili testimonianze del vecchio Principio di Ragion Sufficiente che garantisce l’indipendenza dell’oggetto in rapporto a colui che lo osserva. L’osservatore infatti in questo sistema categoriale non partecipava al fatto stesso ma rimaneva estraneo ed esterno alla fattualità dell’evento artistico.

Anche se il contesto italiano ha sperimentato la grande rivoluzione culturale legata alla teoria einsteiniana, prima con il movimento Cubista nato in Francia, poi con quello propriamente italiano dei Futuristi, dove appunto lo spazio omogeneo della prospettiva lineare veniva abbandonato in favore di una nuova visione dello spazio e del tempo, (infatti con la teoria della Relativiità queste due entità cessano di essere assolute per diventare complementari fra loro, attraverso una reciproca intrusione di un elemento nell’altro), tale contesto conserva ancor oggi forti valenze di fissità ed immobilità culturale.

Eppure sono passati più di 69 anni dalla scoperta del Principo di Indeterminazione da parte di Heisenberg, padre della Fisica Quantistica! Questo principio sta solo ora producendo qualche rilevanza epistemologica ed attenzione come mezzo di conoscenza da parte della cultura dei giorni nostri, in quanto attraverso tale principio si ha una continua dissoluzione del meccanismo di causa ed effetto, per dare origine ad una nuova visione della realtà in cui si afferma che la sorgente casuale di un fenomeno rappresenta la probabilità della sorgente casuale di un altro fenomeno e non la sua necessità.

La visione quantistica della materia mediante la quale essa si presenta sotto forme diverse, sia come energia che come materia universale, in quanto tutte le particelle elementari della materia possono ad energie sufficientemente alte, essere trasmutate in altre particelle, apre orizzonti completamente inediti alla visualizzazione potenziale di nuovi linguaggi e di nuovi sconfinamenti per l’arte. La figura che ha meglio interpretato questa nuova frontiera è certamente quella dell’americano John Cage, antesignano non solo del movimento dell’Happening ma dello stesso Fluxus.

Egli non ha solamente introdotto le nuove categorie della probabilità nella musica, nell’arte, nel teatro, ma anche il concetto di complementarietà, di indeterminatezza e di interdisciplinarità. L’arte con il suo lavoro può quindi staccarsi dal proprio specifico ed abbandonati gli strumenti del proprio fare, privilegia soprattutto il suo statuto di veicolo di informazione e di messaggio.

L’opera di Giuseppe Chiari in Italia, che dalla musica di John Cage trae ispirazione addentrandosi però in territori di linguaggio ancora più alti e difficili, rappresenta nella sua complessità un momento espressivo ed interdisciplinare di una tale articolazione linguistica da creare un vero e proprio stadio evolutivo, che tempo fa’ in alcuni miei saggi ho definito come l’arte del ‘fuori quadro’. Attraverso questa categoria l’arte cessa di essere fenomeno estetico per diventare un fenomeno quantitativo. L’arte del Fuori Quadro non si fonda più sull’esperienza di un’opposizione (come per esempio la pittura che si autoponeva come contrario della fotografia), bensì procede al dissolvimento di ogni opposizione essenziale tra l’arte ed il suo ‘altro’, tra il concetto di verità e quello di storia. L’arte non avendo più un opposto e non ponendosi più come vero, va al di là del concetto dialettico del superamento. Essa finisce per collocarsi nello spazio dell’evento, uno spazio nichilistico dove i mezzi dialettici, articolati sulla non contraddizione e sulla sintesi, vengono meno. E’ l’arte che fonda il proprio statuto non più sul significato bensì si pone nell’area di un nuovo significante al di là dello stesso significato.

Privilegiando il valore di scambio rispetto al valore di uso, essa cessa quindi di presentarsi come oggetto estetico per diventare frammento, traccia, immagine fotografica, elemento naturale. L’arte di questo artista diviene il ‘luogo totale’ disponibile ad accogliere qualsiasi possibilità creativa.

Non è casuale che questo movimento appaia contemporaneamente all’avvento della televisione, in quanto tale problematica artistica evidenzia il fenomeno della derealizzazione operato dal media televisivo, sia attraverso la visualizzazione della nuova realtà dell’immagine che produce la perdita della consistenza delle cose, sia mediante l’evidenziazione del ‘daily life’ quotidiano, il quale mette in luce la rinuncia del possesso di sé stessi, cioè dell’unità della personalità, in favore della pluralità. Per Chiari si può essere tanti individui in uno, si può vivere in un mondo in cui si partecipa a più mondi vitali.

Il presente libro dal titolo ‘Concept Music’ è un esempio lucidissimo di questo approccio conoscitivo. Per Chiari ‘suonare è cantare con gli strumenti’ e ogni musica è un qualsiasi suono o rumore al quale noi riusciamo a dar significato. Per lui la musica è un’avventura, dove la musica si fa imitando una musica ascoltata, una musica che è precedente alla nostra che ancora non esiste. Non essendo la musica una rappresentazione sonora di regole, essa diviene forma e sostanza di sè stessa.

La musica è pratica e la si riconosce immediatamente. Con Chiari ci si avventura ad un livello di soglia mentale dove il consumo è più esperito con l’immaginazione che con i sensi. Le opere, i concerti, le performance, le pagine di musica di Chiari divengono operazioni di un artista che recupera e stravolge le tecniche, i suoni, i linguaggi e ne rivela i limiti ed i bordi estremi.

Questo libro si presenta come un testo significativo e fondamentale, in quanto ci conduce a riflettere sulla musica ma soprattutto sulla cultura, svelandoci le categorie del nostro rinnovamento che per troppo tempo sono state trascurate e ci spinge ad aprirci ad un nuovo sapere che non è stato ancora assimilato e studiato. ‘Sapere’ che oggi deve sempre più appartenerci se vogliamo costruire la nuova realtà multimediale, che necessita di una continua apertura alle problematiche della comunicazione, della velocità del cambiamento tecnologico, dell’identità psichica dell’uomo costretto ad uno sforzo evolutivo di enormi proporzioni. Certamente tale identità per poter esistere ha bisogno di nuove risorse, quale quella di coniugare contemporaneamente la categoria dell’unità nella molteplicità, l’interattività e l’autoreferenza. Per disinnescare le retoriche che hanno posto l’accento sui diversi valori di separazione e di identità delle diverse culture, siamo ora costretti a incarnare i valori dell’incontro, del confronto, dell’ibridazione fra differenti esperienze individuali e collettive.

La flessibilità diventa ora una necessità per costruire la complessità della società di oggi nelle sue valenze sociali ed economiche e la multidimensionalità linguistica degli artisti come Chiari ci aiuta fortemente a condividere le difficoltà di questo futuro comune.

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