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Selected Writings

Il Fuori-Artista

(da Enrico Pedrini, Il Fuori-Artista, o della traslitterazione semantica dei ruoli e dei contenuti dell’arte, Juliet, 62 , 1993)

Traslitterare il senso, il ruolo, il luogo dei linguaggi dell’arte da parte di molti artisti di oggi non significa aver raggiunto il limite di invalicabilità del ‘significato stesso’. Attualmente il sistema dell’arte si muove ancora nel gioco linguistico del ‘trasloco o trasferimento del significato’. Infatti lo scorrimento tra significanti e significati e la loro coesione fa emergere la possibilità che venga continuamente rigenerata la valenza della significazione all’interno dell’opera d’arte’.

Molte volte infatti nel linguaggio parlato o scritto una parola viene usata con un significato diverso dal suo uso comune. Il significato ‘normale’ è il cosiddetto significato letterale; il significato ‘altro’ è il significato ‘figurato’. Si usa dire quindi che c’è un traslato, o uso figurato della parola, ogni volta che la parola stessa ha un significato che non è quello cui la parola rimanda direttamente nel codice linguistico. Il traslato è di solito ricavato e riferito ad un’immagine inerente al primo significato. La problematica dei traslati è specialmente intrecciata con il referente. Infatti la stessa metafora è una parola usata al posto di un’altra per rendere un referente con ‘un significato diverso’. La parola metaforica sostituirebbe quindi la parola più esatta, ma meno espressiva. Secondo la linguistica di tipo germinativo la metafora prenderebbe spunto ‘da una struttura profonda in cui sono violate o cancellate le presupposizioni sulla referenza letterale ed abituale di una voce lessicale’.

Quando le sicurezze metodologiche legate ad un preesistente sapere vengono messe in discussione dall’affermazione di nuove certezze e di nuove acquisizioni della conoscenza e le idee che nascono rifiutano i concettie le categorie antecedenti, la metafora diventa lo strumento più utile per visualizzare le nuove visioni del mondo attraverso inedite forme di espressione. Infatti nell’asserzione metaforica si trovano intimamente congiunti concetti e valori, in quanto i nuovi concetti categoriali proposti dall’asserzione metaforica non possono esprimersi se non attraverso la trasgressione delle regole d’uso che normalmente gli si applicano e ne fanno da referente. Metafora e trasgressione sono intimamente legate al punto che possiamo affermare: ‘non vi è pensiero metaforico senza la presenza e l’esistenza di un pensiero alternativo’. La trasgressione veicola nuove teorie che producono il cambiamento; queste finiscono per sostituire un nuovo sapere al precedente. Una teoria non è soltanto un’idea o un insieme di idee collegate fra loro, ma un sistema coerente di idee il cuiscopo è di fornire una spiegazione completa e soddisfacente, sia dal punto di vista cognitivo che da quello etico del mondo in cui si vive.

Una teoria, veicolando un numero sufficiente di fatti che gli apparati teorici preesistenti non sono capaci di spiegare, rende questi ultimi inadeguati e, rendendosi esteticamente seducente, travolge e modifica lo spessore metaforico che ognuno di noi intrattiene nei confronti del sapere. Affinchè una nuova teoria possa meglio essere acquisita ed accettata, si evidenziano delle unità elementari, le quali si presentano semplici ad un primo livello di osservazione (anche se non lo possono essere ad un altro livello).

In tal modo attraverso la semplicità si raggiunge una miglior regolarità. Si instaura, non un sistema di figure statiche, ma un ‘pattern’ di forze concepito dinamicamente, un tema strutturale nuovo, dove ciascun elemento possiede una sua propria formalizzazione. L’accrescimento di regolarità, intesa come novità ordinativa prodotta dall’arrivo del nuovo sapere, finisce quindi per essere un processo autoregolato all’interno del nuovo ordine metaforico. Anche se le unità elementari possono sembrare semplici, mediante delle cristallizzazioni momentanee degli elementi, la trasmissione dei contenuti dinamici si muove da una complessità più semplice ad una maggior complessità.

Il processo evolutivo di passaggio dal semplice al complesso che riscontriamo nel sistema del sapere è presente con ugual valenza ed urgenza nei sistemicorrelati allo sviluppo dell’uomo, quali il sistema tecnologico, il sistema biologico e naturale, il sistema economico e sociale, etc. Questi ambiti, correlandosi interattivamente tra loro, tendono ad assumere dimensioni sempre maggiori, a sviluppare relazioni sempre più complesse e a creare fra essi tipi di comunicazione più estese e flessibili. A causa dell’irreversibilità generale dell’innovazione tecnologica e scientifica, mentre il cammino percorso dalle società più avanzate procede da un tipo di sistema più elementare e lineare verso un tipo di sistema interattivamente e performativamente più complesso, l’evoluzione della conoscenza tende al superamento del linguaggio stesso, come possibilità di analisi di esso attraverso l’azione pratica. Infatti la conoscenza nell’arco degli anni si metaforizza attraverso accumuli di sapere in successione, il cui ordine non segue una rigida cronologia del tempo, bensì una processualità categoriale che si connota per un costante ‘avanzamento irreversibile’.

Tale processualità nella sua spinta in avanti conosce necessariamente marcati cicli di feed-back retroattivo, momenti di sospensione evolutiva atti a creare però le condizioni per un successivo salto innovativo. Nell’arte e nella sua storia esiste quindi un riflesso di questa irreversibilità, che si manifesta nel continuo percorso ‘in progress’ del dato conoscitivo che massimamente si instaura nei momenti maggiormente germinativi di produzione di nuovi statuti linguistici e di innovative visioni del mondo.

In tal modo l’opera d’arte, mentre testimonia l’impegno presente della condizione umana e sociale, dall’altra risulta sempre capace di aprire nuove fessure, che indicano la continua vitalità dell’arte a dirigersi verso nuovi esiti possibili. Oggi nella realtà che ci tocca vivere, facciamo esperienza del problema ontologico fino all’estremo della sua deflagrazione. Il nostro estremo vissuto quotidiano non è più ingenuamente originario ed autonomo, ma permeato di simboli, di immagini e di metafore che ci vengono trasmessi dalla scienza e dall’arte: linguaggi che costantemente sospingono e rielaborano l’esperienza del limite, trasformandola sempre più in esperienza-limite. Stiamo ormai superando la nozione del tempo come ‘distensione’ e come ‘continuum’ e del tempo come ‘cesura’, ‘ritmo’ o ‘discontinuità’, per articolarlo in una nuova concezione che, secondo Benveniste, presuppone il tempo come ‘mescolanza opportuna di elementi diversi’ e ‘come temperanza o miscela propizia in grado di restituirci il senso del nostro ‘ritaglio evolutivo’‘. Un tempo insomma che, in quanto congiunzione di elementi, ‘diviene relazione e struttura di accoglienza delle varie forme di vita immersa in uno spazio, che reso anch’esso ‘ritaglio’, finisce per essere ‘natura spaesante’ che delimita il tempo stesso’.

Con questa affermazione del tempo come ‘temperanza’ siamo andati oltre ai teorici della ‘freccia del tempo’, al tempo che ‘come una marea, non aspetta nessuno’, ‘al tempo che non risulta essere essenzialmente diverso dallo spazio’. Penrose denunciando che il tempo delle nostre percezioni non scorre in avanti nel modo lineare in cui noi percepiamo il suo flusso, reintroduce la coscienza dell’osservatore come luogo delle idee matematiche, le quali consentono di scoprire la configurazione paradossale dell’universo. Il funzionamento del mondo esterno reale può essere quindi compreso in ultima analisi solo nei termini della matematica esatta.

Questa infatti, funzionando come descrizione del mondo fisico, deve indubbiamente esistere come ‘mondo altro di identità o mondo di idee matematiche’. La natura matematica della realtà non è altro che una manifestazione di prototipi delle verità assolute ivi residenti. Rinasce attraverso questo approccio la necessità di una nuova concezione platonica del mondo, in quanto i matematici non inventano la matematica per dare comferma ai loro scopi, bensì essa viene scoperta ed evidenziata in un mondo parallelo esistente. Le equazioni differenziali sonoil mezzo più consono del linguaggio della matematicache con maggior efficacia descrivono la natura nel suo operato. Questa capacità di descrizione avviene pertanto attraverso tre elementi distinti: la ‘struttura algoritmica’, cioé la determinazione dello stato futuro partendo dallo stato presente, le ‘condizioni iniziali’ e le varie ‘costanti’, che non vengono alterate dall’applicazione dell’algoritmo.

I vari principi di simmetria ci permettono di prevedere la forma generale degli algoritmi ammissibili come leggi di natura. Questi algoritmi, per essere coerenti con le osservazioni del mondo già note e per essere universalmente applicabili, devono soddisfare alcuni vincoli. Le condizioni iniziali e le costanti di natura sono invece proprietà significative del mondo e non sono determinate dalle sue leggi. Infatti, non esistendo alcun modo per determinare le condizioni iniziali, esse ci vengono solamente ‘presentate’. La loro indipendenza dalle leggi di natura è la misura della loro utilità.

‘Le costanti di natura’ sono invece intese come costanti di ‘proporzionalità’. Uno dei grandi obiettivi della fisica fondamentale è quello di scoprire la ragione per cui le costanti, che appaiono nelle equazioni che descrivono le leggi della natura, assumono quel preciso valore numerico. In futuro saremo forse in grado, attraverso la scoperta di un ‘principio di coerenza interna’, di capire quale ragione logica regoli ed esprima tali costanti.

Questo problema sta interessando con sempre maggior impegno i fisici ed i matematici, specialmente quelli che stanno cercando di raggiungere il ‘segreto dell’universo’, cioè il principio profondo dal quale deriva ogni altra conoscenza del mondo fisico.

Ciò che rende ancora la nostra conoscenza incompleta, pur avendo sufficienti informazioni sulle leggi di natura, sulle condizioni iniziali, sulle forze, sulle particelle e sulle costanti naturali, è il modo in cui le simmetrie delle leggi di natura siano state occultate dalle varie rotture casuali della simmetria stessa durante la storia dell’universo. Se quindi l’universo contiene, nella propria struttura, elementi intrinsecamente casuali ereditati dalle origini quantistiche o da rotture casuali di simmetria verificatesi durante le prime fasi della sua evoluzione, (elementi che determinano quindi un universo che differisce significativamente da luogo a luogo), le nostre osservazioni di carattere locale di un universo forse infinito non possono fornirci che una conoscenza incompleta della sua struttura.

Ciò che è però veramente significativo di quanto abbiamo sin qui elencato e descritto è il fatto che i fisici ed i matematici abbiano posto come centrale di tutta la ricerca questo problema: l’esistenza e la possibilità di indagare una eventuale ‘teoria del tutto’, la cui applicazione consentirebbe di decifrare il messaggio della natura in ogni circonstanza.

La ricerca affannosa di una tale definitiva teoria appaga la moderna aspirazione alla completezza. L’idea infatti di ununiverso unitario è profondamente radicata: una descrizione del mondo che non ha una struttura unitaria, ma appare frammentata in parti distinte, ci lascia insoddisfatti e ci stimola a ricercare un nuovo principio capace di collegare le diverse parti ad una origine comune. Questa esigenza all’unitarietà, che si esprime attraverso la ricerca di una ‘teoria del tutto’, non è altro che l’aspirazione della scienza a trovare un’unica possibile rappresentazione abbreviata della logica che sta dietro alle proprietà dell’universo: un principio unificatore e comprensivo di tutto il funzionamento del mondo.

L’arte ed il suo sistema indubbiamente, (dopo la grande stagione del superamento della realtà newtoniana e della geometria euclidea per aderire alla nuova realtà legata alle geometrie non-euclidee ed al nuovo concetto relativistico di spazio e tempo e a quella successiva della rottura del determinismo causa ed effetto, introdotta dalla teoria quantistica e dal Principio di Indeterminazione), affronta oggi i grandi nodi legati ai Sistemi Dissipativi, alla rottura della simmetria del tempo ed i problemi legati all’autoriferimento e l’autocreazione di senso. Problemi che ho già ampiamente percorso ed attraversato nei libri: ‘La macchina quantica e la Seconda Avanguardia’ (I988) e ‘La freccia evolutiva dell’irreversibilità’ (I992). Quanti volessero approfondire questi argomenti possono infatti trovare in queste pagine un esame di una possibile interazione tra gli sviluppi della Fisica ed il mondo dell’arte di questi ultimi decenni. La ricerca attuale di un principio unificatore, quale la ‘teoria del tutto’ presuppone nel campo artistico un’altrettanta possibilità di indagine: un anello successivo di conoscenza capace di formulare una sintesi estrema di quanto è stato fatto, uno stato di irreversibilità totale in grado di portare a termine le tematiche di quanto si é costruito precedentemente e che sia nello stesso tempo promotore di un nuovo sistema categoriale per le immagini.

Attualmente si sta sviluppando nel campo della conoscenza una nuova svolta epistemologica, che principalmente volge il proprio interesse alle nuove possibilità create dalla virtualità.

Le realtà virtuali stanno spezzando il nostro legame con il mondo delle cose e dei corpi, incidendo in modo deciso le nostre esperienze sin qui accumulate con l’universo della fisicità. Infatti la realtà virtuale finisce per essere una rappresentazione plausibile di reale all’interno dei computers mediante la replicazione, la simulazione e la formulazione matematica: elementi che danno ora all’osservatore la possibilità di essere partecipi all’interno del fatto stesso.

Il fruitore può ora esercitare la possibilità di intervenire direttamente all’interno della realtà in quanto gli ‘si è aperta l’opportunità di camminarvi dentro’. Però, pur aprendo nuove possibilità alla conoscenza ed alla sperimentazione, questa nuova realtà virtuale rimane confinata nella sua autoreferenzialità. Questi spazi finiscono per essere degli spazi illusori che si auto-organizzano all’interno di sè stessi senza mai uscire dai rigidi vincoli stabiliti dal programma dell’elaboratore elettronico. Essi divengono potenti dispositivi di modellazione, incapaci però di interagire autonomamente con la realtà fisica, a meno di attribuire loro un successivo ruolo ausiliare di robot.

I sistemi robotici infatti fanno in modo che le azioni svolte all’interno dello spazio virtuale divengano replicabili in tempo reale nello spazio fisico. Pertanto l’uso creativo di queste possibilità virtuali, proprio perché le stesse attualizzano il soggetto cosciente come soggetto agente, favorisce la progettualità di interfaccia dell’uomo con il proprio mondo. Le mostre che si sono svolte (ottobre I992) a Milano allo Studio Oggetto e successivamente a Genova presso lo Studio Leonardi V-Idea (novembre 1992), (la prima intitolata ‘Dal Concettuale all’Anonimia, al Fuori-Artista’e la seconda ‘Fuori-Artista), nascono in questo clima categoriale e trovano una loro precisa giustificazione ed operatività nelle istanze dell’attuale complessità del sapere.

L’esigenza di visualizzare il limite massimo di irreversibilità come esito finale del processo evolutivo dell’arte e la necessità di registrare una sintesi ‘virtuale’ del fare artistico e teorico (dopo le grandi esperienze della categoria dell’anonimia da parte del ‘Time Square’ di Max Neuhause ed alcune sperimentazioni europee, come quelle di Guillaume Bijl e di Filippo Falaguasta, etc.), hanno indubbiamente creato le condizionidi una nuova verifica del dato artistico come ‘traslitterazione’ semantica dei ruoli e dei contenuti ‘dell’essere dell’arte’.

I libri di fisica di Einstein, di Heisemberg, di Prigogine e di Hawking, esposti nella loro autenticità di contenitori di conoscenza, con la loro forza dirompente di sintesi creativa, testimoniano in modo inderogabile la volontà di visualizzare il sapere come motore del tutto. Estrema sintesi che si propone nella sua nudità espressiva come punto ultimo del percorso di tutta l’arte e della sua storia. L’arte come ‘sapere’ è stata una costante sotterranea e germinativa nei secoli, sia che venisse presentata come linguaggio, che come espressività. Il fare affiorare questo unico fattore nella sua singolarità, non come elemento estetico di fruizione ma come presentazione di idea categoriale, significa destituire l’arte della sua legittimità di prodotto testuale e oggettuale. Infatti nell’epoca dell’intelligenza artificiale, della realtà virtuale, della dissipazione dei ruoli e della evidenziazione dell’interazione, lo statuto antropologico dell’uomo sta subendo una profonda ristrutturazione. I piccoli computers portatili con la loro grande memoria riducono sempre più la funzione memorizzante dell’uomo e lo sostituiscono nelle sue mansioni cognitive. Nascono continuamente nuovi problemi in campo iconico dovuti alla produzione delle nuove immagini digitali. Queste novità mettono in crisi la possibilità di utilizzare l’idea di una semiotica planare (cioé quella semiotica che studia la rapresentazone iconica su un supporto piano e bidimensonale), in quanto stiamo assistendo ad una irruzione dello spazio virtuale interattivo che volatilizzala bidimensionalità. Esso fa cadere e cancella questa speciale membrana che separa lo ‘spazio davanti’ da quello ‘dietro’ le cose (l’eteropicità di Greimas), per sostituirla con una iconizzazione assoluta dello spazio. Il patrimonio di analisi dell’iconicismo che la semiotica ha accumulato in questo secolo viene messo in dura crisi, in quanto non disponiamo ancora di nuovi strumenti concettuali capaci di interpretare il nuovo mondo della comunicazione.

Il Fuori-Artista vuole appunto segnalare nella sua essenzialità espositiva e nella sua riduzione formale le difficoltà in cui si trova la matrice semio-linguistica della semiotica, tutt’ora ancorata alla linguistica strutturalista.

Questa infatti si è sempre più intrappolata in esercizi formalisti senza sbocco e in giochi pirotecnici gergali. Il ‘Fuori-Artista’ vuole favorire una semiotica che privilegi la dimensione dell’agire pragmatico, la traslitterazione dei contenuti, dei ruoli di chi opera questa scelta e la possibilità dell’arte di esistere senza la partecipazione del suo tradizionale produttore: l’artista. L’arte non rimane più ancorata all’identità di un suo promotore, ma diviene essa stessa possibilità di esistenza al di là del mercato e dei suoi meccanismi. Il fatto che questi libri rimangano anonimi, non firmati e non rivendicati da chi li ha voluti esporre, libera l’oggetto-libro dal dover essere opera. Essi vengono solo presentati dal curatore, il quale nell’esporli compie solo il gesto dell’ostenderli, ma non quello del destinarli alla funzione di opera d’arte. Essi devono rimanere semplice testimonianza di informazione e il loro scopo è promuovere una semplice interazione comunicazionale tra il destinatario e il promotore che appunto li indica. Si ottiene così un ribaltamento tra ciò che il destinatario si aspetta (l’acquisto del libro) e ciò che il promotore vuole ottenere (la semplice segnalazione). Si stabilisce un’attesa ed uno smarrimento dovuti alla sottrazione di funzioni, siadel luogo che del suo contenuto, in quanto la galleria cessa di essere il luogo che da lo statuto di opera a ciò che vi è contenuto, ed il contenuto-libro, in quanto non firmato e non destinato alla vendita, si destituisce come opera d’arte.

L’arte cessa quindi di essere ‘prodotto’ per diventare ‘pratica effettivamente conoscibile nell’atto teorico’. Il testo teorico che sorregge e attualizza la presentazione, raccolta nel volume: ‘La freccia evolutiva dell’irreversibilità’, esposto dal curatore stesso, diviene luogo centrale di tutta la mostra. Infatti l’assenza dell’artista viene virtualmente sostituita dall’azione critica e dal suo prodotto creativo. Ci troviamo di fronte ad un’intersezione tra due sottosistemi che vogliono appartenere simultaneamente ad uno stesso ‘insieme-ambiente’, cioé al sapere della Fisica che permea di sé la conoscenza nel suo procedere storico e a quello dell’Arte come dato teorico di questo sapere.

L’articolazione della mostra registra quindi quattro assenze:
I ) l’assenza dell’artista;
2) l’assenza della firma, come identità e riconoscimento del prodotto-arte;
3) l’assenza dei meccanismi della commercializzazione e del mercato;
4) l’assenza dello statuto opera, come opera testuale ed oggettuale.

L’esposizione trattiene ancora tre elementi propri del sistema dell’arte, che vengono indicati come permanenze:
I ) la presentazione del dato artistico come dato teorico;
2) la presenza della galleria che rende possibile l’atto di esporre;
3) l’esistenza operativa del curatore e della sua creatività teorica (e non di produzione artistica) come atto finale dell’irreversibilità.

Il ‘Fuori-Artista’ si configura come un evento voluto e programmato, capace di produrre effetti e generare informazione. Questo evento-segno si visualizza mediante una siffatta configurazione in quanto si situa in relazione ad un tempo, ad un contesto con il quale vuole interagire. Esso si pone in rapporto fortemente dialettico ad una seconda polarità, cioé in opposizione con la norma che vuole ogni opera confezionata per un fine ben preciso: la propria collaborazione mercantile come oggetto d’arte e di scambio.

Il Fuori-Artista, in quanto solo ‘sapere’ e ‘come strutturafinale dell’irreversibilità dell’arte e della storia’, vuole porsi non solo come limite ultimo della realtà lineare e dialetticamente totalizzante, ma soprattutto come separazione tra ciò che è ‘arte’ e ciò che è ‘immagine’. Oggi sembra schiudersi una nuova era su questo confine che si configura tra un mondo a carattere prevalentemente umano ed una nuova realtà caratterizzata da una forte presenza di ‘sostanzialità artificiale’: ‘quella della videosfera’.

Infatti con la soppressione delle distanze, si perdono la comprensione del territorio ed il senso del vissuto del reale e della sua irriducibile esteriorità. La velocità della circolazione visuale liquefa sempre più la consistenza delle cose e ne leviga le particolarità. La derealizzazione del reale esterno, la disarticolazione logica dei fatti, la dispersione della profondità del tempo, tolgono spessore alla storia e a ciò che la rappresenta, come l’opera d’arte, per sostituirla con il mondo delle immagini.

Un universo videocratico riempito di continua visualità dove gli imballaggi, le vetrine, le animazioni, le fotocopie, gli stampati, i grafismi, le visioni elettroniche, i mestieri, gli arredamenti, la cucina, le pettinature e tutto ciò che è apparenza entra nel mondo dell’immagine visuale. Infatti in questo universo si può contestare l’assenza e la vanificazione delle idee di verità e la mancanza di idee universali, ma non l’affollamento di rappresentazioni visuali che persistono e si diffondono ovunque. L’ubiquità dell’informazione, la dematerializzazione dei supporti, il richiamo sullo schermo elettronico delle icone delle cose sono realtà accessibili senza alcun sforzo.

Non dobbiamo quindi stupirci se in un prossimo futuro questo mondo senza territorio divenga un mondo senza arte. Il ‘Fuori-Artista’ sta appunto indicando e segnalando questa nuova ‘inattenzione ottica’ del nostro squardo fluidificato da questa realtà sempre più artificiale dei mezzi di trasmissione . Può essere che questo nuovo stato di ‘depaesamento’ e ‘sradicamento dell’arte’ corrisponda alla nascita di un’altra natura, ancora occultata dalle incoercibili sovrimpressioni retiniche e di un’altro spazio (quello dei mezzi di trasmissione, non più quello dei territori), misurabile in unità di tempo e non di superficie. La ‘traslitterazione’ dei ruoli e dei compiti di molti artisti americani, che ‘istruiscono’ mostre e presentazioni di fatti culturali e fuori-artistici, certamente significa l’esigenza da parte degli ‘art-makers’ di uscire dai propri territori di produzione per diventare essi stessi mezzi di trasmissione di altri campi culturali. Lo sconfinamento e l’intrusione del proprio ruolo in altri sistemi non toglie loro ‘la cattiva coscienza’ di appartenere ad un campo di lavoro che vede nella propria dissoluzione e disarticolazione la possibilità di ulteriore sopravvivenza del proprio nome e del proprio mercato.

La denuncia vibrata da parte del ‘Fuori -Artista’ di questa trasmutazione lavorativa ed esistenziale, visualizza il grande problema dell’instabilità operativa dell’artista, propria dell’attuale momento ‘disartistico’ e della sua messa in crisi.

Una delle uscite da questo disagio è il por fine alla poetica dell’arte intesa come espressione del ‘sentire individuale’, a favore invece di operazioni fatte da più membri che trovano nella solidarietà del loro fare un’operazione d’equipe. Le loro opere si caratterizzano per un’intensa ‘plurisensorialità’, come conseguenza della moltiplicazione dei linguaggi e della loro possibile sovrapposizione. L’oggetto di produzione tende sempre più a non presentarsi come lavoro, ma come complesso stratificato di esperienze. Pertanto la figura dell’artista o meglio di operatore di immagini, troverà ancora spazi di esistenza e di pensiero, ma gli verrà sempre più richiesto un forte impegno ad essere ‘altro e differente’. Così in futuro il museo e la sua equipe di conservatori e dirigenti dovranno accettare la nuova dimensione operativa dell’immagine e dei suoi formulatori e favorirne la gestione attraverso la lettura di una nuova categorialità. Un’inedita realtà è nata. Indubbiamente il ‘Fuori-Artista’, se accettato e discusso nella sua dirompenza e trasgressività, può essere di aiuto a meglio valorizzare le istanze ultime dell’irreversibilità ed a comprederne gli sviluppi e le necessarie proiezioni.

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